martedì 25 settembre 2012

JEAN LOUIS "JACK" KEROUAC E IL MITO CREATO DAL SUO LIBRO ON THE ROAD

Joyce Glassman Johnson, la scrittrice newyorkese che fu legata sentimentalmente a Kerouac e il mondo della Beat generation ai primi degli anni cinquanta, ha pubblicato una biografia di Kerouac con una interessante analisi sul suo bilinguismo. Sono certo che Fernanda Pivano avrebbe apprezzato l’intervista di Lauren Du Graf a Joyce Glassman Johnson, una delle ultime scrittrici legate al mondo della Beat Generation, e certamente una delle meno conosciute. Nata a New York nel 1936, cresciuta nell’Upper West Side, si dimostrò presto spirito ribelle e durante la sua permanenza intorno alla Washington Square venne in contatto con il gruppo beat di Kerouac, Ginsberg e Borroughs ed ebbe una relazione sentimentale con Jack Kerouac, quando era poco più che 20enne. Nonostante la brevità e la delusione avuta dal rapporto con Kerouac, Joyce continuò ad analizzarne l’opera letteraria che espresse nel volume Minor Characters (Houghton Mifflin, 1987), una rivisitazione degli anni 1957-58, il periodo legato alla pubblicazione di On the Road secondo il punto di vista femminile. La corrispondenza tra la Johnson e Kerouac è invece l’argomento del libro Door Wide Open: A Beat Love Affair in Letters, 1957-1958 (2000) seguito nel 2004 dal volume di memorie Missing Men. Sta uscendo invece adesso un altro suo volume ‘The Voice Is All: The Lonely Victory of Jack Kerouac’, Viking , 2012) che smonta il mito della scrittura automatica di Kerouac in favore invece di una lenta e metodica con un importante riferimento alla sua dicotomia di americano di origine franco-canadese. La Johnson, nota soprattutto per la sua storia d’amore con Kerouac, non ha avuto una brillante carriera da scrittrice e ha atteso a lungo prima di dare alle stampe una biografia che renda finalmente giustizia a Kerouac, troppo mitizzato come il maggior esponente della Beat Generation e che ha messo un po’ in ombra la sua opera. The Voice is all illustra la progressione stilistica di Kerouac nell’elaborazione della sua fiction autobiografica, e come sosteneva Fernanda Pivano evidenzia la disciplina seguita da Kerouac per ottenere uno stile letterario e linguistico indipendente, pur intriso del suo background di americano cresciuto, non solo in una famiglia ma anche in una Petit Canada operaia di Lowell, Massachusetts, e del liricismo degli scrittori che aveva studiato con tenacia maniacale alla Martin Eden. Voice is all è il prodotto dell’apertura dell’archivio personale di Kerouac, custodito nella Berg Collection della New York Public Library, che dal 2002 ha permesso una rilettura della vita privata e letteraria dello scrittore, dopo la fine delle restrizioni imposte dagli eredi. Uno dei temi più controversi relativi a Kerouac riguarda la sua collocazione in virtù del suo background etnico. Jean-Louis Kerouac (1922-1969) crebbe nella città industriale di Lowell che aveva attratto migliaia di franco-canadesi soprattutto nelle tessiture. Minoranza anche per motivi linguistici, i franco-canadesi vivevano in un loro quartiere allargato continuando a parlare la loro lingua, il joual, astruso sia ai canadesi delle città come pure ai francesi di Francia. A questo proposito giova ricordare un avvenimento esplicativo avvenuto durante il Sel de la Semaine del 7 ottobre 1967 quando Kerouac fu intervistato a Montreal da Fernand Seguin di Radio Canada davanti a un pubblico composto da giovani borghesi in giacca e cravatta e ragazze vestite secondo la moda canadese del momento, mentre Jack Kerouac era naturalmente in maniche di camicia. Kerouac era l’eroe di On the Road, il mito, l’invidiato, certamente non l’amato nonostante la sua ascendenza. Quando Jack cominciò a parlare Joual, la lingua dei suoi antenati della Gaspesie, , il pubblico – sempre il medesimo – lo sbeffeggiò. Questi esponenti del Quebec moderno non volevano identificarsi con un modo di essere che non desideravano più e esprimevano in questo modo il loro dissenso. Il joual, allora così dissacrato e diventato adesso- 2012 – parte integrante della vita del Quebec, essenziale composizione delle radici. Suvvia. Una sorte quasi condivisa con Grace Metalious di Peyton Place ( neè DeRepentigny) che come Kerouac non si sentì mai completamente a suo agio negli Stati Uniti e nemmeno in Quebec che soltanto adesso sembra riconoscerli. Sempre in termini linguistici Kerouac imparò l’inglese andando a scuola, come tanti figli di italiani emigrati o italiani abituati a parlare dialetto in casa, cosa che gli fece ammettere di non saper scrivere molto bene nella sua lingua madre e di non avere una vera casa natale. Normale quindi che il joual fosse una lingua sempre presente, al di là dell’inglese normalmente utilizzato nello scrivere. Esattamente come chi ha imparato prima il dialetto sovrapponendo o unendo poi l’italiano, in alcune funzioni, tipo il conteggio del denaro, utilizza prima il dialetto. Sostenere che le ansietà linguistiche di Kerouac abbiano contribuito al suo sradicamento e alla paura che il suo processo di americanizzazione non sarebbe mai stato compiuto sembra un po’ esagerato. Sulla strada, oltre a Kerouac c’erano anche americani come Burroughs che non potevano accampare un heritage lontano. Ragion per cui credo poco alla profondità della sua prosa dovuta soprattutto al suo mix etnico. Le letture infinite cui si dedicò Kerouac aumentarono la sua forza letteraria e lo resero più sicuro di sé, ma il genio era intrinseco. La famosa stesura di On the Road in tre settimane su un rotolo di carta fu comunque il prodotto di anni di elaborazione che cominciarono con esperimenti in joual , il linguaggio più naturale con cui sapeva esprimere meglio le sue aspirazioni e la sua ricerca di qualcosa che sapeva in cuor suo che non avrebbe mai trovato ma che avrebbe continuato a cercare fino alla fine. Una fine che sembra tragica ma è in sintonia con l’uomo e continua nel tempo molto più che per altri scrittori osannati un tempo e poi dimenticati. Ti-Jean distrusse la sua Ma-Mère, la madre con cui aveva vissuto alcuni degli ultimi periodi della sua vita, il 21 ottobre 1969 in un ospedale di St. Petersburg in Florida. Ironia della sorte, l’autore americano di origine franco-canadese, emblematicamente americano, diviso tra due culture e lacerato dal peso dell’identità marginale nel mondo conservatore del dopoguerra, morì nella città americana dove di solito svernavano per lo più i canadesi anglofoni mentre quelli francofoni prediligevano la costa meridionale della Florida, a nord di Hollywood ad esempio, dove le bandiere con il fleur-de-lis sventolano come in Gaspesie. Jean-Louis “Jack” Kerouàc non Kèrouac, come giustamente ricordava con forza sempre Fernanda Pivano, è sepolto nell’Edson Cemetery di Lowell, poco lontano dalla cattedrale si St. Jean Baptiste, dove da bambino era stato chierichetto, la tempo della Petit Canada. Questa è l’America. Anche questi sono americani.

Nessun commento: