lunedì 7 luglio 2014

IL BAROLO NASCOSTO DI NEIL YOUNG


I migliori Barolo sono puri e potenti come canzoni di Neil Young. Sembrano vivere in un passato di fatiche contadine, feste agresti e cene borghesi del Novecento. Sembrano melodie rassicuranti, stile country. Basta però avvicinarsi per sentire virtuosismi, assoli e musica nuova. Perché mai come nel vino, coltivare la tradizione, salvare gusti e piante, può aprire strade mai battute.«Harvest», raccolto, è il disco-capolavoro di Neil Young. È anche il titolo di un festival organizzato proprio a Barolo, la sesta edizione di un evento a cui è stato dato il nome «Collisioni». Quello del 21 luglio sarà l’unico concerto in Italia di Young.
Quando il cantautore canadese incise «Harvest» non immaginava di essere bocciato dagli influenti critici di Rolling Stone. Le sue ballate vennero considerate conservatrici, mentre la potenza del rock incendiava giradischi, palchi e stadi. Era il 1972.Come il cantautore, una generazione di vignaioli ancorata alla tradizione è stata criticata in passato per non essersi messa al passo con i tempi, assecondando i nuovi gusti (la divisione è, ad esempio, sull’uso più o meno spinto delle barriques e sull’omologazione da legnosità e vaniglia). Finito lo stordimento per rossi modernamente concentrati più che fini, risulta più chiaro che l’aver mantenuto legami saldi alle radici è stata una scelta lungimirante. Come per Young con «Harvest», un ritorno al futuro e un invito: «Let me fill your cup with the promise of a man», «lascia che riempia il tuo calice con la promessa di un uomo».
Young arriverà a Barolo con la band che lo ha accompagnato per buona parte della sua carriera: i Crazy Horse. Di loro ha scritto: «Sono la mia finestra sul mondo cosmico dove la musa vive e respira, nella zona speciale della mia anima dove le canzoni pascolano come i bisonti. La mandria è ancora lì e le pianure sono sconfinate» («Il sangue di un hippy», Feltrinelli»).
«Collisioni-Harvest» è un «festival agri-rock». Tanta musica dal 18 al 21 di questo mese: Deep Purple, la cantautrice newyorchese Suzanne Vega, Elisa, il rapper pugliese Caparezza, il rapper sardo Salmo. Poi i dialoghi con James Ellroy, Jonathan Coe, Piero Pelù, Francesco Guccini, Mauro Corona, Jeffery Deaver, Francesco De Gregori, Mario Biondi, Milo Manara, Morgan, Valeria Parrella, Carlin Petrini, Ferzan Ozpetek, Dario Fo e altri ancora.
Ovviamente cibo. «Collisioni consente di abbinare a musica e letteratura ad alta enogastronomia di strada e tradizionale (a prezzi popolari e accessibili), dai formaggi dop alla alle nocciole di Cravanzana », dicono gli organizzatori, elencando lezioni e apparizioni, comprese quelle degli chef stellati Davide Oldani, Cristina Bowerman ed Enrico Crippa. E poi il vino. Tocca al critico Ian D’Agata, autore di «The native grapes of Italian wines», occuparsene. Il Barolo innanzitutto: «Sto con Neil Young e i vignaioli che hanno pensato al futuro garantendo le tradizioni — dice D’Agata —. Prendiamo il 1990, una grande annata per il Barolo. Il vino dei modernisti, assaggiato oggi, è già stanco, spento. Il vino che nasce ispirandosi a tecniche tradizionali ha invece ancora molto da dire». Sabato 19 luglio verrà degustata l’annata 2010, l’ultima sul mercato, un evento riservato a critici e giornalisti di tutto il mondo, come Bernard Burtschy (Le Figaro) e Chaty Huyghe (Forbes). Sul tavolo molte etichette che piacerebbero al cantautore country se nel frattempo non fosse diventato astemio: Ceretto, Cordero di Montezemolo, Pio Cesare, Elio Grasso,Bartolo Mascarello, Marchesi di Barolo, Giuseppe Rinaldi, Roagna, Paolo Scavino, e altri.
ll’Enoteca del Barolo è stata poi organizzata una serie di incontri, condotti da D’Agata (gratuiti e prenotabili sul sito www.collisioni.it). «Vogliamo raccontare gli autoctoni piemontesi e aprire le porte alle due zone vinicole ospiti: l’Oltrepò pavese e il Friuli Venezia Giulia». Si comincia sabato 19 con «Le grandi Barbere», racconto dei vini di Monferrato, Alba e Asti. Quindi il Fallegro, il Vermentino del Roero prodotto da 40 anni da Gianni Gagliardo: in cattedra il super sommelier Luca Gardini. E gli autoctoni meno noti? Si chiamano Pelaverga, Nascetta, Richè, Rossese bianco. «Spiegherò con Stephen Brook della testata britannica Decanter — annuncia D’Agata — una ricchezza da preservare al di là degli umori e delle mode di mercato, un patrimonio di biodiversità da tutelare». Interessante, domenica 20, il dibattito-degustazione sui vini naturali. Tra gli altri ci saranno Andrea Gori del sito Intravino e Monty Waldin di Decanter. Alla guida Giovanni Bietti, autore di «Vini naturali d’Italia, Manuale del bere sano».
Accanto ai grandi classici come il Barolo, sono proprio i vini naturali e i vitigni autoctoni ad offrire percorsi ricchi di scoperte per gli appassionati. Magari ascoltando per l’ennesima volta Harvest e leggendo l’autobiografia di Neil Young: «Oggi c’è un gran vento e io ne faccio parte».
Corriere della Sera di Milano - di Luciano Ferraro   -  Foto Universal Pictures


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