martedì 7 novembre 2017

DA CACCIATORI A SCULTORI


Per secoli gli Inuit hanno fabbricato aghi, pettini, lance, frecce, coltelli e altri utensili lavorando zanne di tricheco, ossa di balene, denti e pelli di vari animali e pietra saponaria.
Dopo la proibizione della caccia alla foca, molti di loro hanno trasformato l’abilità di intagliatori di utensili in un’arte, oggi apprezzata in tutto il mondo. Solo a Cape Dorset più di 300 artisti scolpiscono nella pietra saponaria orsi, foche e figure antropomorfe, dipingono uccelli e altri soggetti naturali e ripropongono gli stessi soggetti con la litografia. Dal 1978 sono riuniti nella Dorset Fine Arts (www.dorsetfinearts.com), sede di atelier di molti artisti locali, le cui sono vendute esclusivamente da gallerie d’arte autorizzate.
Iniziò a commercializzare le  sculture Inuit a inizio ‘900 la Hudson Bay Company, ma il riconoscimento della critica arrivò solo negli anni ’50, dopo che lo scrittore James Houston (vissuto per 14 anni con gli Inuit) descrisse vita e opere di questi indigeni in “Alla scoperta degli Inuit”, pubblicato il Italia da Edizioni Piemme.

 

Abbiamo già parlato dell'arte Inuit nel 2008 in
 Segue testo originale:

L’arte Inuit (allora “eschimese”) si fece conoscere verso la fine degli anni cinquanta. Nel 1949 James Houston, un artista canadese, visitando un villaggio nel nord del Québec aveva intuito che gli Inuit avrebbero potuto guadagnare da questa attività vendendo i loro manufatti “laggiù, nel sud” ai turisti avidi di souvenirs. Nasce la AIRPORT ART, arte nata con l’aeroporto.
C’è infatti una storia curiosa, e forse poco conosciuta, all’origine della recente produzione di meravigliose sculture ed alle altre espressioni artistiche di queste popolazioni del Nord canadese. Comunque di radici millenarie, ebbe un declino durato secoli. Per il divertimento proprio e dei bambini gli adulti scolpivano nell’avorio o nella steatite dei modellini di pochi centimetri, detti pinguak, letteralmente “imitazione di una cosa”. C’erano poi gli amuleti abbozzati nell’osso di balena o altri oggetti di uso quotidiano in pietra o legno. Gli antropologi poterono affermare che gli Esquimesi/Inuit non avevano un concetto globale di arte e di estetica. L’idea del bello era espresso dalla parola takuminaktuk, “bello da vedere”, che però poteva riferirsi ad una slitta, un bambino o una aurora boreale.
Tutti cominciarono a scolpire, soprattutto nella molto diffusa steatite, chiamata quillisak, pietra per fabbricare le lampade. Ovviamente pochi erano i veri artisti, gli altri lo facevano per guadagnare. Avrebbero raffigurato di tutto: si racconta che alcuni eschimesi ammalati di tubercolosi i quali, una volta scesi in un sanatorio dell’Ontario, presero a scolpire figure di automobili e anche di canguri visti in uno zoo! Ma i bianchi distrussero queste sculture considerandole ‘non autentiche’. Fu così che capirono che la loro arte, per essere genuina, primitiva, veramente ‘eschimese’, doveva rappresentare temi eschimesi: nacquero le stupende scene di vita vissuta, in uno stile di straordinaria immediatezza, rappresentazioni di caccia, di madri con bambini, di animali dell’Artico, scolpite nell’ avorio, nell’ osso, nella steatite.

Questa storia non deve indurci a pensare che l’arte Inuit sia un ‘falso’. Anzi. Si tratta di un tipico esempio di acculturazione, cioè, di come, a contatto con i bianchi, una civiltà indigena si sia trasformata, almeno in un settore della sua cultura, in senso positivo sviluppando il suo talento artistico.

Avviso ai turisti: non mancate di ammirare i capolavori di questa arte nei Musei e nelle numerose gallerie d’arte e ne rimarrete incantati. Preziose ed affascinanti, hanno un loro prezzo e l'autenticità è garantita da un certificato di provenienza.
Attenzione  però: i piccoli souvenirs che trovate nei negozi per pochi dollari sono spesso delle repliche, fatti in serie e di un materiale sintetico (la steatite – come altre pietre utilizzate oggi - è molto pesante, la superficie risulta liscia, morbida e ‘calda’).
Non vi dico di non comperarli; sappiatevi regolare.


Nessun commento: